fallimento
di Valter Ribichesu

Avete mai domandato a chi ha visto il fallimento del proprio progetto imprenditoriale, quali siano state le cause che lo hanno condotto a tale risultato? Prima di andare alla risposta, ci tengo ad esprimere un mio pensiero in merito; possono andare in fallimento i progetti, le idee, le attività, ma non ci può essere il fallimento delle persone!

L’atteggiamento, tutto italiano, per cui il fallimento viene punito e portato in taluni casi all’umiliazione, in assenza di frode, è dal mio punto di vista a dir poco anacronistico e inibisce la propensione a fare impresa. Vi basti pensare che il fallimento in termini giuridici, in Italia è regolato dal regio Decreto n.267 del 16 marzo 1942!!
Tornando alla nostra domanda, le risposte che si ottengono più di frequente sono 5:
• capitalizzazione insufficiente;
• scarse o inadeguate conoscenze influenti;
•condizioni di mercato non adeguate;
• insufficiente preparazione tecnica;
•bassa “brand reputation”.
Una sola di queste o più di una in combinazione tra loro, o addirittura, tutte e cinque.
Personalmente, non sono affatto convinto che queste siano le vere ragioni di un fallimento. Certamente possono concorrere in maniera importante alla mancata riuscita di un progetto imprenditoriale, tuttavia, se osserviamo le aziende di maggior successo degli ultimi decenni, ci accorgiamo addirittura che alcuni tra più i eclatanti successi imprenditoriali, non avevano nemmeno una delle condizioni sopra elencate a loro favore.
Quando il 5 luglio del 1994 un giovane americano di nome Jeff Bezos, cresciuto tra Huston e Miami, fondò una compagnia di nome Amazon, non aveva nessuno dei cinque punti appena elencati a suo favore. Il piano industriale della compagnia preveda perdite per i primi cinque anni, periodo durante il quale Bezos, che si era licenziato dalla D.E. Shaw di New York (società multinazionale di gestione degli investimenti) dove ricopriva il ruolo di Vice Presidente, dovette mettere in campo tutti i suoi risparmi e quelli dei suoi genitori per finanziare il progetto: complessivamente 300.000 dollari (circa 265.000 euro di oggi). Bezos riuscì comunque a convincere qualcuno a credere nella sua idea: Nick Hanauer che investì la ragguardevole cifra di 40.000 dollari e Tom Alburg, che staccò un assegno da 100.000 dollari. Ad appesantire la situazione economica contribuì anche dello scoppio della “bolla di Internet”, gli utili ritardano infatti di un paio d’anni rispetto a quanto previsto e solo nel 2001 Amazon poté finalmente distribuire i primi dividendi ai suoi soci. Di certo le condizioni di mercato per una libreria on-line (l’idea di partenza di Bezos) nel 1994 non si potevano di certo dire favorevoli. Basti pensare che E-bay sarebbe nata più di un anno dopo, nel settembre del 1995 e che Paypal ha visto la luce addirittura nel dicembre del 1998.
Amazon ha quindi, di fatto, inventato il commercio elettronico, di conseguenza, ha dovuto sviluppare da sé le tecnologie e le sinergie operative necessarie a gestire i flussi di denaro e di merci. ll brand era completamente sconosciuto, così come lo era il suo fondatore, che pur avendo ricoperto in ruolo di prestigio alla D.E.Shaw, era pur sempre un trentenne con nessuna “garanzia” alle spalle. Oggi Amazon si calcola che abbia un valore complessivo di 97 miliardi di dollari e Jeff Bezos è considerato l’uomo più ricco del mondo.
Era il 28 ottobre del 2008, quando l’allora diciannovenne Mark Zuckerberg mandò in rete Facemash, predecessore di Facebook, all’epoca stava frequentando il secondo anno all’università di Harvard. Zuckerberg per dar vita al suo “bizzarro” progetto si introdusse in aree protette della rete universitaria per copiare le foto dei documenti di riconoscimento degli studenti. Facemash registrò durante le prime quattro ore di visibilità del sito, più di 450 visitatori e 22.000 foto visualizzate, ma fu chiuso pochi giorni dopo dai responsabili dell’università, i quali accusarono Zuckerberg di aver violato la sicurezza, i copyright e la privacy individuale degli studenti e degli insegnanti (il che era effettivamente vero), rischiando potenzialmente l’espulsione, ma alla fine, non subì alcun provvedimento. Per la fine del mese di febbraio 2004 (circa 4 mesi dopo), più della metà della popolazione universitaria di Harvard si era registrata al servizio e nel marzo 2004, Facebook si espanse all’Università di Stanford, alla Columbia University e all’Università Yale. Ad aprile del 2004 il servizio si allargò al resto della Ivy League, al MIT, alla Boston University e al Boston College. Fu poi la volta di altri istituti negli Stati Uniti e in Canada. Tra aprile e agosto del 2005 venne registrato il dominio attuale, facebook.com, e fondata la società con un capitale iniziale di 200.000 dollari.
Oggi il valore di Facebook è stimato in 88,9 miliardi di dollari. Anche in questo caso la capitalizzazione iniziale era al disotto della soglia si sopravvivenza, sia la reputazione personale di Zuckerberg (che era un perfetto sconosciuto) che il posizionamento del brand Facebook non erano certo favorevoli alla crescita del progetto, la tecnologia necessaria allo sviluppo di un social network non era mai stata fino a quel momento neppure pensata e le condizioni di mercato per qualcosa che la gente non sapeva neanche che cosa fosse, non potevano certe essere delle migliori, almeno, teoricamente.
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