di Daniele Trevisani
Da una visita mirata, centrata sull’ascolto, possono nascere le basi per un rapporto solido che arrivi sino alla partnership di fornitura. Questo dipende dalla capacità del venditore di cogliere dove sono i gap attuali nel cliente, e porsi come “problem solver” di questi gap.
1.1. Rendere mirata una visita all’interno di un’azione commerciale
Una visita mirata si differenzia da una visita generica in base al grado di preparazione precedente la visita stessa. In una visita mirata, sono stati già esplorati a priori i possibili problemi, le possibili obiezioni primarie, gli ostacoli prevalenti alla conclusione di vendita. In una visita mirata, il venditore è pienamente consapevole del “cosa sto entrando a fare”, distinguendo tra:
• valutare se esistono spazi per…
• valutare se esistono le condizioni per…
• approfondire la situazione del cliente riguardo…
• concludere una negoziazione avviata entro…
• capire la serietà del cliente e le intenzioni reali di acquisto, offrendo le seguenti alternative e scadenze…
Una visita mirata si prefigge di comprendere lo scenario del cliente aggiungendo dati e informazioni a quelle già disponibili, per poi poter puntare ad una conclusione consulenziale favorevole, che riduca i costi psicologici di acquisto e faccia leva sugli aspetti motivazionali del bisogno sottostante del cliente.
Rendere mirata una visita significa, quindi:
• anticipare gli scenari aziendali e psicologici che possiamo fronteggiare: studiare il sistema-cliente prima di entrare, sulla base dei dati disponibili;
• chiedersi quali dati servono ancora per poter offrire una soluzione realmente consulenziale (Information Gap Analysis), e preparare una scaletta di informazioni e punti di interesse da approfondire con il cliente stesso;
• anticipare i livelli di possibile bisogno;
• posizionare una tipologia di fornitura desiderata (target negoziale strategico): es: distinguere tra diventare fornitori ufficiali, fare un ordinativo di prova, e altri tipi di relazioni commerciali;
• dare ampio spazio ai momenti di ascolto del cliente;
• entrare soprattutto per ascoltare, dare enfasi alla fase di analisi e ascolto;
• concludere su ipotesi di possibile interesse e soppesare con il cliente valore differenziale di ciascuna;
• porre il cliente di fronte alla responsabilità di prendere una decisione.
1.2. Finalizzare le azioni verso la partnership di fornitura e il comakership (fare assieme)
Lo sforzo consulenziale viene premiato non tanto da una singola vendita ma soprattutto dalla capacità di ingresso nel sistema cliente.
Una partnership strategica è l’obiettivo sottostante la vendita consulenziale. La partnership strategica è caratterizzata da:
• rapporto intenso;
• co-progettazione;
• ricerca e sviluppo svolta su ambiti di interesse comune (Joint Research & Development);
• contatti frequenti;
• studi congiunti sul mercato di destinazione.
1.3. Potere contrattuale
Come evidenziato da Trevisani (2000), la negoziazione competitiva richiede la creazione di forza contrattuale.
La forza contrattuale dipende dal livello di unicità dell’offerta (o dalla mancanza di alternative valide o succedanee) e dal livello di bisogno esistente nella controparte, mediati dalle abilità comunicative.
Le competenze negoziali competitive richiedono training alla negoziazione e alla gestione delle mosse strategiche dell’interazione.
In particolare, il training deve focalizzarsi sulla capacità di analisi dei segnali non verbali, sul controllo dei propri segnali, sugli stili comunicativi verbali, sull’analisi transazionale del dialogo (AT), sulle tecniche di convergenza verso il risultato e di gestione strategica dell’obiezione.
Le tecniche negoziale divengono ancora più complesse quando le trattative avvengono tra gruppi (es.: gruppi di acquisto contro gruppi di vendita) poiché la dimensione comunicativa si allarga, richiedendo competenze nell’affiatamento tra i partner e coordinamento nelle mosse dell’interazione tra i membri dell’equipe [1]. Gestire la trattativa richiede preparazione e role-playing. Una singola parola può rovinare un incontro.
Principio 2 – Del potere contrattuale e negoziale
Il vantaggio competitivo dipende dalla forza contrattuale nella trattativa.
Per il venditore o proponente, la forza dipende:
1. dall’unicità dell’offerta: un’offerta non comparabile con altre offerte ha più valore;
2. dalla mancanza di alternative prossime: l’impossibilità di trovare con ragionevole sforzo soddisfazione altrove;
3. dalla mancanza di beni succedanei (beni diversi che possono svolgere una funzione simile, es: treno al posto dell’aereo);
4. dall’impellenza del bisogno nel destinatario: un bisogno importante genera minori freni e incertezze;
5. dal prestigio di cui gode il proponente: un proponente credibile e prestigioso crea minori barriere legate alla valutazione a priori del partner;
6. dalla forza dei fattori oggettivi dell’offerta: le caratteristiche della prestazione – la sua tecnologia, il servizio reale.
Ciascuna di queste leve anche se presente in misura elevata non si dispiega automaticamente ma richiede abilità di valorizzazione e comunicazione. Il dispiego ottimale della forza contrattuale (per chi offre) si correla positivamente con il livello di competenze comunicative specifiche del negoziatore (abilità negoziale del venditore) e negativamente con le competenze dell’acquirente (abilità del buyer).
Porsi come “problem solver” delle problematiche del Cliente significa fare al cliente un grande favore, e aiutarlo a migliorare la propria situazione tramite i nostri prodotti/servizi. Ma per farlo occorre grande capacità di ascolto e di empatia, evitando di inondare il cliente con le nostre argomentazioni, ed aumentando lo spazio lui dedicato, grazie ad un ascolto attivo ed empatico.
La fase di analisi e ascolto richiede il ricorso a:
• domande aperte;
• domande chiuse;
• domande di precisazione;
• riformulazioni e verifiche di comprensione;
• riepiloghi, sommari;
• rispecchiamento dei contenuti.
Le domande devono essere poste solo dopo che si sia creato lo spazio psicologico per farle, chiedendo il permesso al cliente di porgli alcune domande che servono per poter realizzare proposte sensate.
Durante la fase di analisi è essenziale il ricorso alla carta e penna per prendere appunti, sotto forma di parole chiave, ed un precedente allentamento alle tecniche di memorizzazione, intervista e Analisi della Conversazione (Conversation Analysis, CA).
1.4. I due livelli delle domande: domande interiori e domande esterne
Tutti noi abbiamo curiosità e dubbi, che però raramente esprimiamo.
A volte non lo facciamo per pudore (quante volte fai sesso in un mese? = invasione dello spazio psicologico altrui), altre volte per titubanza strategica (vorrei chiedergli quanto sono disposti a pagare ma non lo faccio per timore che mi dicano una bugia sulla quale poi non saprei come argomentare), e per tante altre ragioni.
Un’operazione fondamentale è distinguere tra:
• domande interiore: quello che vorremmo davvero sapere, quello che abbiamo bisogno di sapere
• domande esteriori: le mosse conversazionali che poniamo in essere, i modi con i quali arriviamo ad ottenere quelle informazioni.
Le attività connesse alle due domande:
• domanda interiore: bisogni informativi di base, la domanda reale che ci stiamo ponendo e a cui vorremmo risposta (es: quanti soldi avete a disposizione?);
• domanda esteriore: la domanda che è adeguata e consentita ad un certo stato di relazione, in base al grado di familiarità con il soggetto, di trasparenza comunicativa, di tempo disponibile (es: avete già fissato un budget per questa iniziativa?).
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[1] Vedi Goffman (1959) per l’analisi dei comportamenti pubblici delle equipe.